Brano: [...] brossura, e me lo porse. Era il primo volume della Recherche (p. 208).
L'ouverture racchiude l'ineluttabile di una vocazione, ma anche, certo non voluta, la radice di un equivoco. Non per nulla (è buffa e comica l'« angosciosa sensazione » provata dalla Romano giovane alla lettura di Combray, « che il suo libro l'avesse già scritto Proust », ibidem) la Recherche sarà ricordata pigramente da piú di un critico. Questo è accaduto specialmente con La penombra che abbiamo attraversato (1964), un libro che ebbe molti consensi ma che da qualcuno fu iscritto frettolosamente alla temperie liricomemoriale degli anni '30'40 e giudicato tardivo.
Salinari su « Vie Nuove » (22 ottobre 1964) fece il nome di Pavese per segnare uno spartiacque oltre il quale non notava — pur facendo nel caso specifico alcune concessioni — che ricalchi, e coagulò il suo dissenso nella formula gravemente limitativa della « letteratura in calzoncini corti ». Non cosi Giansiro Ferrata su « Rinascita » (22 agosto 1964), che richiama si il clima « poeticomemorialistico » tra le due[...]
[...]ico proselitismo cui nulla — in nessun caso — la portava per naturale riflesso dei suoi caratteri particolari: lontanissimi, in verità, dal suggerire formule a impiego corrente » (p. 6). Era un esplicito invito ad uscire dalle formule di comodo e a individuare nella Romano i tratti di una poetica e di un linguaggio peculiari.
2 Citiamo dal romanzo L'archiamore (Milano, Guanda, 1980) dell'esordiente OSVALDO GUERRIERI.
LALLA ROMANO 675
Prima della Penombra erano stati pubblicati Tetto murato (1957), L'uomo che parlava solo (1961) e, a parte, il Diario di Grecia (da Rebellato, nel '59). Dopo la Penombra sono poi venuti, trascurando le ristampe, che pure non sono mai senza revisioni, Le parole tra noi leggère (1969), L'ospite (1973), Una giovinezza inventata (1979) e tra L'ospite e Una giovinezza inventata due libri coevi, uno di racconti, La villeggiante, e l'altro di fotografie commentate, Lettura di un'immagine (1975). Senza dimenticare l'esercizio della poesia, che ha dato nel '74 Giovane è il tempo, frutto di una scelta riveduta delle due raccolte precedenti (Fiore prima, e poi L'autunno, 1955) e di molte poesie nuove. Si tratta di un percorso segnato negli anni da stazioni ben pausate, [...]
[...]dato nel '74 Giovane è il tempo, frutto di una scelta riveduta delle due raccolte precedenti (Fiore prima, e poi L'autunno, 1955) e di molte poesie nuove. Si tratta di un percorso segnato negli anni da stazioni ben pausate, quasi periodiche, come esistesse una misura ritmica anche nel licenziare, oltre che nel comporre, i propri lavori. Ci siamo cosí voluti liberare d'un colpo del curricolo editoriale per non tornarci poi piú sopra, assegnando alla Penombra, non senza ragioni, un ufficio di discrimine
La consapevolezza drammatica di voler raccontare il proprio « mondo » (non nel senso, larghissimo, che ogni scrittore racconta sempre il proprio mondo) in Lalla Romano è certamente anteriore, ma, fino alla Penombra, anche se riconoscibile e subito connotabile con precisione, ha come fatto delle prove, come saggiato delle varianti. Cosi è stato, nel modo forse piú evidente, con L'uomo che parlava solo. (Il « parlare da sola » sarà curiosamente annotato ne La Penombra come un tratto della Romano bambina: « Io "parlavo da sola", e la mamma mi lasciava fare, non mi interrompeva », p. 21). L'uomo che parlava solo è il romanzo piú « obiettivo » di Lalla Romano, anche se poi la storia narrata in prima persona e lo stile cosí netto (ma un'ombra di inautentico vi si annida a tratti nel ritmo, specie dei dialoghi, che sente di Pavese) rendono l'opera facilmente apparentabile alle altre.
Cosí ci pare che sia di Tetto murato. Ma Tetto murato conta di piú soprattutto per il segno lievitato delle figure, incardinate in un'atmosfera ferma, chiusa, perfetta e insieme m[...]
[...]ogo delle vacanze povere: « bellezza, avara, che nasce dalla povertà » come in Tetto murato, p. 41), è una « dimensione diversa » 4, nella quale sembra di entrare ancora con il piú recente Lettura di un'immagine (1975). Questo libro infatti, tutto giocato com'è — e calibrato — su una sorta di doppio immaginario, fotografico e testuale, è un tessuto (prezioso) di allusioni, un libro delle affinità, e piú sottile di tutte, questa, contenuta già nella Penombra (p. 95): « ... la mamma non inventava niente, anzi, lei spogliava, sfrondava, non "raccontava", propriamente: alludeva soltanto ». Ma se Lettura di un'immagine ha nella Penombra la sua couche, anche se ne distacca perché ne è come l'essenza.
3. Con La penombra che abbiamo attraversato inizia dunque un periodo che non sapremmo deciderci a dire nuovo. Nuovo infatti propriamente non è, e basterebbe leggersi il capitolo xxii di Maria:
Rividi, quando fu l'autunno, i boschi del Villar: velati da una sottile bruma.
Era il primo pomeriggio, quando passai il ponte sul Maira, e cercai con gli occhi il balconcino alto sul Borgo Sottano, dal quale Maria aveva salutato il bambino diventato grande che ripartiva sulla sua motocicletta.
Prima di scendere, per la gradinata di pietra, al vicolo di Maria, volli rivedere il paese.
Rividi, nell'attraversarlo, la vi[...]
[...]ate in memoria dei fucilati dell'ultima guerra. Cercai il nome di Milio; ecco: Emilio Martini, di anni ... Una bicicletta attraversò la piazza deserta, metà sole e metà ombra. Margherita? (avevo pensato a lei, cercando il nome di Milio?).
Poteva essere lei, la donna della bicicletta: la testa piccola, dal profilo minuto e severo. Anche lei mi guardò (p. 136).
È soltanto il primo « respiro » del capitolo, ma ci troviamo già un poco nel clima della Penombra. Cosí in Tetto murato ci soccorre una traccia esile ma proficua: « La stanza non era "remota". Vi era in essa una mescolanza di rustico e di civile, di primitivo e di prezioso che aveva per me il sapore della mia infanzia » (p. 45). E ancora, tornando a Maria, in piú di un tratto del rapporto della Romano con il figlio, è contenuto l'embrione di quelle che saranno Le parole tra noi leggère.
Periodo non nuovo dunque, ma se non nuovo, piú deciso, piú fermo; in una parola: maturo. Quello in cui lo scrittore è finalmente consapevole di avere trovato la sua strada e insieme il « modo » esatto di [...]
[...]ia infanzia » (p. 45). E ancora, tornando a Maria, in piú di un tratto del rapporto della Romano con il figlio, è contenuto l'embrione di quelle che saranno Le parole tra noi leggère.
Periodo non nuovo dunque, ma se non nuovo, piú deciso, piú fermo; in una parola: maturo. Quello in cui lo scrittore è finalmente consapevole di avere trovato la sua strada e insieme il « modo » esatto di percorrerla, senza piú perplessità. Comincia propriamente dalla Penombra il personale e non proustiano, nonostante il titolo, « rimemorare metodico » della Romano. In lei, nonostante la passione, la memoria non ha urgenze, si dispone con un ritmo grave, si modula per adagi, è pausata, respira. È il caso di appellarci a Barthes quando parla dei momenti in cui è preso dalla voglia improvvisa di ricordare: « In quei momenti non c'è occupazione che mi trattenga, interrompo tutto, mi butto sul letto e rivedo e sento ancora le scene, gli odori, i sapori del passato, le luci, i volti » (Prefazione a Jean Daniel, Memoria al presente, Milano, Spirali, p. 9) 5.
Ebbene, c'è[...]
[...] adagi, è pausata, respira. È il caso di appellarci a Barthes quando parla dei momenti in cui è preso dalla voglia improvvisa di ricordare: « In quei momenti non c'è occupazione che mi trattenga, interrompo tutto, mi butto sul letto e rivedo e sento ancora le scene, gli odori, i sapori del passato, le luci, i volti » (Prefazione a Jean Daniel, Memoria al presente, Milano, Spirali, p. 9) 5.
Ebbene, c'è curiosamente un letto anche nell'esordio della Penombra, un letto però che fa pensare a una voglia pigra, indolente, quasi riluttante (« Mi ero distesa sul letto e cercavo di pensare a cose innocue », p. 9). Anche se poi l'impasse fa presto a sciogliersi in crescendo, liberando (nell'aria aperta) una memoria piena di puntigli. Citiamo dall'esordio del secondo capitolo della prima parte:
Sono uscita nella strada davanti all'albergo, e ho sentito l'aria. L'aria mi può bastare. È la mia aria.
In nessun'altra valle vicina o lontana c'è quell'aria. Io la riconosco all'odore leggero che sa di latte, di strame, di erbe amare. Ma non è un odore, se non [...]
[...] stato recensito da Lalla Romano in « Tuttolibri », vi, n. 24, 28 giugno 1980, p. 15.
678 GIOVANNI TESIO
fatale. Essa è per me il passato: tutto quello che è avvenuto. Per me è anche « loro ».
In loro sono compresa io. La conoscenza di loro e di me, come non era veramente distinta allora, tanto meno lo è adesso (p. 18).
E un'immersione della memoria nelle persone e nelle cose, una simpatia radicale. Non c'è tristezza (e nemmeno nostalgia) nella Penombra, ma un memorare dolce e controllato: casomai malinconico. Ma felicità e malinconia hanno un forte senso della convivenza ed è da ricordare in proposito un episodio delle Parole cosí concluso: « Capii che l'idea era di lui; e la piccola coppia era cosí amorosa che mi ispirò rispetto. E malinconia come tutte le cose felici » (p. 84).
Anche il dramma ne La penombra è redento da una pietas sobria, discreta, venata spesso di un umorismo improvviso, che s'accende. La memoria insegue il suo equilibrio tra l'interno domestico e borghese, e il modo dei contatti con il piccolo cosmo provinciale, che è sempre sul punto di svelare, insieme con gli incanti, le sue angustie. Si pensa per questo agli Scritti autobiografici di Hesse con la consapevolezza di una proposta non peregrina visto l'appetito onnivoro e spregiudicato di letture (« l'inguaribile eclettismo », anche, della sua cultura) che la Romano ha sempre denunciato. Anche perché poi Hesse funziona per Il [...]
[...]se della Romano è sempre schietto e sa correre i suoi rischi. Lo stesso ritratto frammentario che la scrittrice fa di sé nelle sue pagine è spietato, privo di indulgenza, certo costruito, cioè artisticamente rivissuto. Lalla Romano è un personaggio che vive con gli altri personaggi e ne condivide il destino, ne ricerca le dissonanze, ne suggerisce, o ne dice, le affinità. Borlenghi molto acutamente, a proposito della presenza della scrittrice nella Penombra, ha parlato di « una propria storia in minore, nel cerchio delle memorie ».
C'è sempre una dialettica intensa — un dramma — in questo rapporto tra personaggio e personaggi (il punto estremo sono Le parole tra noi leggère), spesso doloroso fino allo spasimo perché la memoria (autentica) non vuole patire inganni. In questo senso, l'opera della Romano è memoriale e non autobiografica: una differenza, che ha la sua ragion d'essere e che è
stata polemicamente ribadita piú volte dalla scrittrice nelle interviste, con taglio perfino troppo netto:
È vero che un romanzo, in quanto tale, brucia e ri[...]
[...] — dell'autore; nel mio caso poi si tratta effettivamente di un rapporto molto stretto fra « vita e narrazione »: senonché io non amo il termine usuale « autobiografia ». Anzi, lo considero il piú lontano dal mio gusto, dalla mia idea della narrativa. Io non scrivo affatto per dar notizie sulla mia vita; però la mia vita è tutto quello che ho, è me stessa 8.
Di quest'ultimo concetto, fondamentale, come abbiamo già tentato di dire, ritroviamo nella Penombra, e proprio nella chiusa del secondo capi
tolo della prima parte, di cui abbiamo citato l'esordio, la concordanza piú piena:
Piazza Nuova: è uguale nell'insieme, vuota. Su due lati la chiude ancora l'antica lea di ippocastani.
Il nome ora è quello di un partigiano; ma la storia, « quello che è avvenuto dopo », per me non esiste a Ponte. Ponte per me è immobile. Come l'omino laggiú, in fondo alla piazza.
Anche allora un omino uguale stava là, quasi « posato » davanti a quella casa alta (un tempo c'era scritto Palestra Ginnastica, era della Caserma). Io l'avevo sempre visto cosí, da lontano.[...]
[...]ria è dunque fondato su un approccio di tipo esistenziale, e in definitiva poetico. Come non muta la « sostanza » dei luoghi non muta la « sostanza » della storia perché la poesia cerca il « permanente », la consistenza oltre le parvenze e la realtà storica è rispecchiata meglio « da una visione personale (poetica) che dalle analisi sociologiche »9: un'idea che risulta particolarmente attiva nell'ultimo romanzo, Una giovinezza inventata.
Già nella Penombra i fatti della storia erano come messi tra parentesi (« c'era la Grande Guerra », p. 23), e la loro parzialità era un fatto poetico. Cosi in Maria la storia era un evento tra gli eventi e interessava per i suoi tratti di tragedia improvvisa e fatale. In Una giovinezza inventata la questione raggiunge l'apertura massima. Una giovinezza inventata è la storia della formazione di una ragazza borghese e provinciale che prende la strada della città. È anche la storia stessa della scrittrice, come sempre. Lalla Romano è nata a Demonte ed ha vissuto infanzia e adolescenza tra il paese che l'ha cresciu[...]
[...]e si incontrano sono veri e proprii personaggi storici e la giovane Lalla si mescola alla pari, si offre alla rappresentazione senza reticenze, con un anticonformismo che è anche esibizione perché cosí vuole l'età. Il progetto ventilato in un'intervista, rilasciata al quotidiano « La Repubblica » (1 agosto 1976), di scrivere Una giovinezza « come se fosse la vicenda di un'altra persona », è ancora una volta abbandonato, come già era accaduto per la Penombra che una prima volta in terza persona era stato effettivamente scritto. Il punto di vista è quello di un « io » che s'accampa e non ammette trasgressioni.
Il rapporto di questo « io » con la storia è parziale ma concreto, s'incarna nei personaggi che rimemora e ricrea. Cosí quando la scrittrice sostiene: « Per me il fascismo era un adolescente dalle mani fredde » (Una giovinezza cit., p. 36), non adopera una semplice metafora. Tutto è storico in questo romanzo, ha dichiarato la scrittrice in un'intervista, « nel senso che i personaggi sono tutti veri, con il loro nome e cognome. Venturi è Ven[...]
[...] [ma 1950]
Prosa: Le metamorfosi, Torino, Einaudi, 1951 (poi, riveduta e ampliata, nei « Coralli », 1967); Maria, ivi, 1953 (poi nei « Coralli », 1965; nelle « Letture per la scuola media », 1973; nei « Nuovi Coralli », 1975); Tetto murato, ivi, 1957 (poi nei « Supercoralli », 1972); Diario di Grecia, Padova, Rebellato, 1959 (poi, con qualche variante, presso Einaudi, nei « Nuovi Coralli », 1974); L'uomo che parlava solo, Torino, Einaudi, 1961; La penombra che abbiamo attraversato, Torino, Einaudi, 1964 (poi negli « Struzzi », 1977); Le parole tra noi leggère, ivi, 1969 (poi negli « Struzzi », 1972); L'ospite, ivi, 1973 (poi nelle « Letture per la scuola media », 1978); Lettura di un'immagine, ivi, 1975; La villeggiante, ivi, 1975; Pralève, ivi, 1978 (ma già compreso ne La villeggiante); Una giovinezza inventata, ivi, 1979.
Traduzioni: G. Flaubert, Tre racconti, Torino, Einaudi, 1944 (e ora, con Nota introduttiva, nelle « Centopagine », 1980); E. Delacroix, Diario (18221863), Torino, Chiantore, 1945; B. Beck, Léon Morin, prete, Torino, Einaudi[...]